venerdì 29 giugno 2012

Nuove proposte nella fabbrica del mondo

 

Focolai di rivolta continuano a divampare nel Delta del Fiume delle Perle, culla della “fabbrica del mondo”. La provincia meridionale del Guangdong è l’epicentro del nuovo terremoto sociale che da lunedi’ sta scuotendo il villaggio di Zuotan, distretto di Foshan, e Zhongashan, sobborgo di Shaxi.56c26ee84ac8824b4a05bd7e85abd0bd M Nuove proteste nella fabbrica del mondo Due episodi distinti che riportano alla luce una serie di problematiche di portata nazionale e mai risolte: la questione della corruzione dei funzionari locali, spesso collegata all’espropriazione forzata delle terre rivendute dalle autorità senza il consenso dei proprietari, e quella dei lavoratori migranti (mingong in cinese), che si riversano nelle grandi città in cerca di un lavoro meglio retribuito. La sera di lunedi’ una trentina di migranti provenienti dalla provincia del Sichuan si sono radunati di fronte alla centrale di polizia di Shaxi per protestare contro l’arresto di un quindicenne venuto alle mani con uno studente locale. L’intervento poco ortodosso delle forze dell’ordine in tenuta antisommossa -secondo i genitori il ragazzo originario di Chongqing sarebbe stato picchiato dalla polizia- ha scatenato l’ira dei migranti, esplicatasi nel rovesciamento e nella distruzione di almeno due veicoli della pubblica sicurezza. Le forze dell’ordine avrebbero tenuto in custodia il ragazzo legandolo e arrecandogli delle ferite al volto. A dare man forte ad amici e familiari del giovane, in tarda serata, circa 300 manifestanti hanno cominciato a lanciare sassi e mattoni contro la polizia. Le autorita’ hanno gettato acqua sul fuoco minimizzando l’accaduto. Mercoledì notte la situazione sembrava essere gia’ tornata sotto controllo, secondo quanto riportato da un comunicato ufficiale. “La protesta e’ stata essenzialmente dispersa,” ha reso noto un portavoce di Shaxi alla Reuters, “non sono rimaste che poche macchine della polizia, e alcuni spettatori nei paraggi”. Nel frattempo foto degli scontri sono cominciate a circolare sui principali social media. Tra gli scatti piu’ cliccati quello ritraente una donna ferita, a testimoniare come la pubblica sicurezza non si sia astenuta dall’aprire il fuoco, mentre il bilancio delle vittime e degli arresti rimane ancora un’incognita. Il malcontento della comunita’ migrante insidiatasi nei dintorni di Shaxi si è andata ad aggiungere a quella dei residenti di Zhongshan, tanto che nella giornata di martedi’ un migliaio di manifestanti ha messo a ferro e a fuoco il municipio della citta’ e la stazione di polizia, costringendo le forze dell’ordine a isolare completamente la zona. Diverse le motivazioni all’origine dei tafferugli tra popolazione e funzionari di sicurezza pubblica avvenuti nella cittadina di Zuotan. Martedi’ mattina la sede del Partito locale e’ stata circondato da un gruppo di contadini infuriati contro il segretario locale, colpevole di aver venduto le terre da loro coltivate a importanti gruppi immobiliari, ricavandone lauti guadagni. Anche qui gli scontri con le forze dell’ordine sono sfociati in atti vandalici ai danni delle vetture della polizia. Centinaia le persone malmenate tra le quali un veterano della guerra di Corea. Sebbene le proteste di Zuotan riportino immediatamente alla mente la rivolta di Wukan dello scorso autunno -anch’essa divampata a causa del land grab e della corruzione dei funzionari locali- tuttavia la provincia del Guangdong vanta un passato burrascoso costellato da casi altrettanto scomodi. Nel giungo 2011 migliaia di mingong (sempre provenienti dal Sichuan) si scontrarono con la polizia a Zengcheng, incendiando automobili e devastando gli edifici governativi. In quell’occasione ad alimentare la rabbia dei lavoratori migranti fu il trattamento violento riservato ad una venditrice ambulante incinta. Conscio della situazione il segretario provinciale Wang Yang -noto per le sue inclinazioni liberali e in corsa per un seggio al Comitato Permanete del Politburo- ha sottolineato la necessità pressante di raffreddare i bollori dei cittadini scaturiti da un senso di disagio sociale. La panacea volta a guarire i mali del popolo ha il nome evocativo di “Happy Guangdong” e consiste in un modello di sviluppo più equo ed equilibrato. Secondo le stime stilate dal governo cinese gli “incidenti di massa” -come vengono chiamati in gergo riot e disordini sociali- sono passati dagli 8.700 del 1993 ai circa 90.000 del 2010. Ma sono in molti a credere che il bilancio sia stato snellito artificiosamente dalle autorità, le quali, negli ultimi anni, si sono astenute dal rilasciare i nuovi numeri. E così le recenti proteste “made in Guangdong” non sono altro che gli ultimi campanelli dall’allarme del malcontento che cova sotto le ceneri della società cinese. Per quanto riguarda il problema corruzione Pechino si è già messo in moto, intensificando il giro di vite sui quadri locali; oltre mille gli indagati nella sola provincia fucina del manifatturiero cinese. Non meno spinosa la questione immigrazione interna. I mingong in arrivo dalle campagne hanno fornito la manodopera a basso costo dalla quale ha tratto nutrimento l’iperbolica crescita economica del gigante asiatico. Al momento più della metà dei 14milioni di residenti della città di Canton sono lavoratori migranti. Attratti da salari più alti e condizioni di vita migliori per i propri figli, i lavoratori si spostano nelle grandi città per poi scontrarsi con una realtà ben diversa, fatta di difficoltà logistiche (derivanti in primis dal rigido sistema di registrazione chiamato hukou) e frustrazioni per il trattamento discriminatorio ricevuto dalla popolazione locale. E come testimoniano i numeri, la città di Shanghai è una delle mete predilette dai mingong, schizzati dai 9milioni del 2000 ai 23 milioni del 2010, tanto che al momento circa il 60% dei residenti nella megalopoli del sud appartiene alla categoria dei lavoratori migranti. “I disordini causati dai mingong costituiscono un problema enorme che potrebbe condurre ad agitazioni in tutto il Paese,” ha commentato Manyan Ng, direttore di International Society for Human Rights (ISHR), “la leadership cinese è seduta su un vulcano.” Ciò che ha permesso a Pechino di incassare il colpo senza eccessivi danni -secondo Ng- è la “natura isolata” delle rivolte, sino ad oggi, mai collegate tra di loro. E se i vari focolai dovessero divampare in un incendio? In un’intervista al New York Times il noto avvocato-dissidente Chen Guangcheng -protagonista di un clamoroso caso diplomatico Cina-Usa e al momento nella Grande Mela per effettuare un corso di studi alla New York University- si è pronunciato sulla crescente insofferenza dimostrata dalla popolazione cinese nei confronti delle autorità. “(I funzionari) Sono molto spaventati dalle agitazioni delle campagne. Sanno come la vita nelle zone rurali sia terribile. Sono terrorizzati dai movimenti organizzati dalla popolazione. La situazione nelle campagne al momento è delicata e questo è il motivo che ha portato a tante detenzioni e all’assunzione di altre misure del genere. Nemmeno cercano una giustificazione, lo fanno e basta. E’ perché sono spaventati.” E qualcuno ai piani alti se ne deve essere accorto. Proprio questa mattina il China Daily, megafono del Partito comunista cinese, titolava “Official eye training to handle mass incidents”. Gli ultimi disordini del Guangdong hanno indotto le autorità a prendere in considerazione l’organizzazione di corsi di formazione per i funzionari locali, in modo da insegnare loro come far fronte correttamente ai “disordini di massa.” Il quotidiano in lingua inglese riporta di come nella giornata di lunedì alcuni quadri siano stati rapiti, dai rivoltosi di Zuotan, chiusi in un minibus e lasciati senza cibo né acqua, per essere liberati da alcuni colleghi ben nove ore dopo. Il malcontento dei migranti della prospera provincia al confine con Hong Kong e Macao non desta stupore, ha ammesso Zhu Lijia, professore della Chinese Academy of Governance. La scarsa tutela dei loro diritti rispetto a quella dei residenti permanenti è una delle motivazioni scatenanti, “ma quando avvengono incidenti di massa i dipartimenti governativi dovrebbero cercare di illustrare le leggi e i regolamenti ai mingong, rendendo più trasparente il loro operato al fine di evitare l’acuirsi  di attriti tra lavoratori migranti e popolazione locale.”
Alessandra Colarizi

Fonte: http://www.laogai.it/2012/06/nuove-proteste-nella-fabbrica-del-mondo/

mercoledì 27 giugno 2012

EUROPA SCOMBINATA -

 

 
di Piero Nicola

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Quando i capi di partito e i ministri rispondono alle domande sulle soluzioni della crisi – si pensi che, sino a pochi anni fa, la parola crisi era censurata, caso mai, sostituita con eufemismi – costoro illustrano i provvedimenti per la crescita, ben sapendo che il loro tempo è scaduto, che dovrebbero rinnegare quanto hanno detto e fatto di recente, che, con i loro precipizi e i loro baratri, incantano appena pochi lettori di giornali e ascoltatori di imbonimenti televisivi. È ridicolo immaginare che industrie, artigianato, agricoltura, commerci, turismo: un complesso di attività ben impiantate sino a ieri, oggi o domani possano essere inghiottite da una voragine finanziaria. Ammesso – e per nulla concesso – che l’Italia possa fare bancarotta e porti i libri in tribunale, i curatori del fallimento e i creditori non potranno mica distruggerla, se non mettiamo mano anche noi alla distruzione e, comunque, non potranno farlo rapidamente.
Sicché, facendo eco a qualche presunto esperto di economia politica, di quelli che discutono e recitano tenendo desti i teledipendenti affamati di notizie e di governo del paese, i signori cui è affidato il bene comune, insieme ai i loro fiancheggiatori, mettono fuori la bella carta dell’unione politica europea: una unificazione che lascia sussistere gli stati nazionali coi rispettivi istituti, ma che cede a Bruxelles una maggior quota di potere pubblico.
Angela Merkel si è espressa in tal senso; lei, in difesa degli interessi tedeschi, che, se non fossero tali, sarebbero legittimi per qualsiasi paese avesse la tenuta della Germania: bilancio statale in regola, banche abbastanza sane, contributi versati alla Banca Europea, disoccupazione bassa, p.i.l. discreto. Quando invece, gli altri soci devono arrossire, posti a confronto con la Germania. Sarà vero che essa ha beneficato di un cambio Marco-Euro favorevole. Tuttavia, il Marco era la moneta più forte al mondo e, ad ogni modo, sembra tardi per simili recriminazioni.
In che consiste questo incremento di sovranità ceduta, in pratica, alla Commissione europea? Soprattutto, nel controllo sulle banche e sui bilanci nazionali, almeno in una certa misura. In tal guisa, la Commissione, che già limita il potere legislativo-esecutivo-giudiziario di Francia, Italia, Spagna, Grecia, Germania, eccetera, potrebbe gestire la moneta comune e salvarla, proteggendola dalle speculazioni (strana storia questa della speculazione: tirata in ballo, quando non serve invocare il rispetto del sacrosanto libero mercato!)
Non mi si chieda come la messa al sicuro dell’Euro sarebbe attuata. Non lo so. Credo invece di sapere che se l’U.E. mettesse in moto la rotativa della carta moneta copiando gli USA, svalutazione e liquidità da sole estinguerebbero la crisi, o pressappoco: investimenti, aumento dei salari, consumi, esportazioni, contro alcuni aumenti di materie prime, e speculazioni destinate a smorzarsi. È vecchia ricetta ultrasperimentata, applicabile a una situazione di altrettanto storica ricorrenza.
Ma questa manovra di legittima difesa nei confronti del dollaro e della plutocrazia, non si potrebbe adottare anche subito? Viceversa, si sono rifornite le grosse banche europee di denaro. Ed esse lo hanno investito in titoli di stato lucrando interessi esagerati, facendo lo stesso gioco delle speculazione mondiale.
Torno all’Europa politica. Fino ad ora, essa si è appropriata di prerogative statali. Cominciamo pure con la Banca Europea e l’Euro, con il lato finanziario, che è mostruosamente prevalente sull’economia reale, sulla ricchezza effettiva: se uno stato può pagare e paga regolarmente gli interessi sul suo debito, perché mai deve soggiacere alle trame del mercato per le quali i frutti del prestito diventano usurai? Ben ha fatto un nostro magistrato a incriminare un’agenzia di valutazioni finanziarie di Nuova York, se essa si prestava a falsare il credito da attribuire ai grandi soggetti della finanza e della borsa. Certo è che i proventi sono enormi, e a produrli e ad attingervi probabilmente ci sono anche quelli che influenzano i valori.
A ben vedere, la principale rinuncia degli stati comunitari è quella morale e spirituale. La salute morale presiede a quella economica. Non è il contrario, come certa ignoranza vorrebbe che fosse. In materia di delitti, Bruxelles detta legge. Sicché gli stati cattolici o, se si preferisce, di cultura latina, hanno dovuto subire e continueranno a subire la legalizzazione d’una immoralità atea e contro natura, spacciata come altamente umanitaria. Una vera piaga, purtroppo accolta e fatta accettare non senza seduzioni e falsità.
In teoria, sarebbe bello che l’Europa potesse contare nel mondo con un’unica politica estera, con un solo esercito, con i mezzi basilari per difendere i propri interessi; mancando i quali, come oggi avviene, si resta soggetti, quasi colonie, dei paesi egemoni.
Di simili unioni di forze non si osa neppure fare cenno. E non per realismo, ossia poiché le differenze nazionali sono eccessive. I governanti le trascurano nella loro essenza: auspicano o accettano la società multietnica, un uguale sentimento del bene e del male, ignorano le disparità di tradizioni e di confessioni, per livellarle e farle convivere, fanno di tutto perché la lingua prevalente sia l’inglese, sebbene l’Inghilterra faccia parte dell’Europa fin dove e quando le conviene. Insomma, tutto si svolge come se i capi fossero traditori al servizio della plutocrazia mondiale. Ho ripetuto plutocrazia non essendo una parola sporca e sconveniente, ma esprimendo un concetto esatto, etimologicamente significativo. Ai tempi della contesa del New Deal, i ministri di Roosevelt l’adoprarono contro i magnati americani, anche se si potrebbe sospettare la commedia.
La quota di politica comune passata all’U.E. mortifica gli europei senza vantaggi per loro. Tanto più adesso. D’altronde, quelli che vogliono aumentarla devono stare attenti a non tirare troppo la corda. Potrebbe crescere l’illuminazione dei guai che ce ne sono venuti e che ce ne verranno. La corda tende a spezzarsi. Perciò la casta teme che la Grecia se ne vada. Di per sé, la Grecia coi suoi pochi milioni di abitanti e con i suoi debiti non dovrebbe spaventare; spaventa  il suo possibile gran rifiuto, spaventa questo esempio.
L’Europa risulta assai mostruosa: non più la società economica (Mercato Comune) con vaghe, sebbene infide, pretese di estensione; non è alleanza militare: sopra di lei vige la NATO e non esiste altro patto (p.e. la Germania non ha partecipato al generale intervento di guerra contro la Libia); non è unità politica sostanziale: sarebbe una mera fantasia che i bilanci degli stati, le economie e i parlamenti nazionali scomparissero; non è dunque una federazione, perché le fisionomie dei popoli, per lingua, tradizioni, storia, religioni, climi, paesaggi, sono talmente spiccate che sarebbe impossibile anche attenuarle per renderle indifferenti alla formazione di uno stato federale; d’altronde, questi popoli sono menomati nel decidere il proprio destino, privati della propria moneta, e violentati da leggi ad essi estranee, ma cattivanti come dolci prostitute, gonfie di sapienza generosa.

Fonte : Riscossa Cristiana  

Molteplici aspetti della Crisi Italia - Occidentale

Toscana Consumatori

Associazione Toscana a Difesa dei Consumatori

La crisi che travolge l'Europa e l'Italia porta con se scenari estremamente pericolosi per la tenuta della società civile stessa. In questi ultimi 2 anni di crisi economica è cresciuta di pari passo la criminalità e l'insicurezza dei cittadini anche in piccoli comuni. La micro criminalità insieme a furti rapine sono aumentati decisamente nella percezione dell'opinione pubblica. E' aumentato il consumo di alcolici, droghe e di psicofarmaci tra i più giovani, legato inotre a fenomeni come depressione, sconforto uniti alla privazione di prospettive future.
Questi drammi colpiscono sopratutto i giovani e i piccoli imprenditori immersi nei debiti (dopo anni ed anni di innumerevoli sacrifici) che purtroppo arrivano in sempre più casi al suicidio o ad attività illecite.

L'Effetto psicologico legato ad un fallimento (default societario) che subisce un piccolo imprenditore dopo che per una vita ha fatto sacrifici su sacrifici per mandare avanti la sua azienda ( in molti casi a conduzione familiare) è devastante.
L'A.t.d.c. ha notato che in tanti casi c'è un ostinazione da parte di taluni imprenditori a mandare avanti aziende che producono beni privi di mercato (vista la crisi) anche ricorrendo al debito, con la speranza che "le cose migliorino" (purtroppo la situazione peggiorerà in maniera drastica).
La crisi che impazza in occidente e nel bel paese porta con se anche danni devastanti ad aspetti della vita qutidiana che non riguardano strettamente l'economia.
 
Fonte: http://www.toscanaconsumatori.it/

domenica 24 giugno 2012

La persecuzione dei cattolici nella Spagna repubblicana 1931 - 1939

 


Suore di clausura arrestate dai miliziani rossi (1936, Andalusia)
LA PERSECUZIONE DEI CATTOLICI NELLA SPAGNA REPUBBLICANA 1931 – 1939

di Alberto Rosselli
«Ho combattuto la buona battaglia (…) Ho conservato la fede” (2 Tm 4, 7). Così è detto nella Seconda Lettera a Timoteo. La Chiesa, rileggendo queste parole nell’odierna domenica, le applica ai martiri spagnoli del tempo della Guerra Civile. Ecco coloro che “hanno conservato la fede” nel nostro secolo; coloro che hanno combattuto la buona battaglia”: i testimoni (martyres) di Cristo, crocifisso e risorto. “Hanno conservato la fede”. Non si sono spaventati davanti alle minacce e alle persecuzioni. Sono stati pronti a suggellare con la vita la Verità che professavano con le labbra. Sono stati pronti a “dare la vita”. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita” (Gv 15, 13). Al santissimo martirio dello stesso Figlio di Dio hanno associato il loro martirio di fede, di speranza e di amore. E questo martirio, cioè questa testimonianza ha attraversato tutta l’Europa, che nel ventesimo secolo in modo particolare s’è arricchita della testimonianza di molti martiri: dall’Atlantico fino agli Urali.»
Dall’omelia di papa Giovanni Paolo II
Domenica, 25 ottobre 1992
(Beatificazione di 122 martiri spagnoli e di una laica equadoregna)
 Il 26 giugno 2006, papa Benedetto XVI ha autorizzato la promulgazione dei decreti con cui la Chiesa ha riconosciuto ufficialmente il martirio di 148 tra suore e preti e quello di una donna, assassinati tra il 1936 e il 1937, in Spagna, dai miliziani repubblicani. Con questa decisione, il Vaticano ha inteso rendere un doveroso tributo a coloro i quali pagarono con la vita la loro devozione e lealtà nei confronti della fede: in un martirio ancora oggi misconosciuto a buona parte dei cattolici italiani. Una strage che, per una sorta di inspiegabile timore nei confronti del giudizio della ‘modernità’ ideologica di stampo ‘progressista’ e del nuovo ‘credo’ relativista, è stata di fatto dimenticata o esorcizzata per molto tempo, almeno fino alla fine degli anni Ottanta – allorquando papa Giovanni Paolo II riprese l’iter di canonizzazione dei martiri spagnoli. Alla luce di tutto ciò, la prosecuzione dell’iniziativa da parte di Benedetto XVI ci è apparsa quindi doverosa, ma anche utile in quanto ha contribuito a chiarire fatti ed accadimenti specificatamente storici e quindi di universale interesse. Per dare una dimensione della persecuzione patita dal clero e, più in generale, dai cattolici spagnoli negli anni Trenta, basti pensare che soltanto tra il 1936 e il 1939 oltre che a distruggere centinaia tra monumenti, chiese, seminari, luoghi di culto e cimiteri, le milizie repubblicane comuniste e anarchiche incarcerarono, torturarono e eliminarono fisicamente quasi 7.000 fedeli. Più precisamente – secondo recenti studi del vescovo di Merida-Badajoz, Antonio Montero – tra il luglio 1936 e l’aprile 1939, subirono il martirio 6.832 cristiani (238 dei quali successivamente beatificati): quattromila 184 appartenenti al clero diocesano più 12 vescovi, un amministratore apostolico, duemila 365 religiosi e 238 tra suore e seminaristi.  Cifre importanti e drammatiche sulle quali è obbligatorio riflettere.
Nel corso degli ultimi settant’anni, il periodo che va dalla proclamazione della II Repubblica spagnola (14 aprile 1931) al 1° aprile 1939 – cioè alla fine della lunga e sanguinosa Guerra Civile scoppiata il 17 luglio del ‘36, che vide la vittoria delle forze nazionaliste guidate dal generale Francisco Franco Bohamonde (1892-1975) – è stato studiato e analizzato da una moltitudine di storici, buona parte dei quali, tuttavia, preferito, vuoi per scelta, vuoi per formazione culturale, concentrare l’attenzione più sull’aspetto politico, economico, sociologico o militare di questi otto anni, che non su quello religioso.
A partire dal 1945 fino alla caduta del Muro di Berlino, sulla particolare questione – abbastanza scomoda, oltre che dolorosa – cioè quella della persecuzione dei cattolici da parte del governo repubblicano spagnolo (fenomeno che ebbe inizio nel (14 aprile Seconda Repubblica) 1931, cioè ben prima dell’Alzamiento nazionalista del luglio del ‘36), buona parte degli intellettuali e degli storici di sinistra, ha preferito toccare appena o interpretare in maniera non sempre corretta questo aspetto della vicenda attraverso analisi e considerazioni diciamo storicizzate e/o contingentate, esaminando cioè gli orribili eccessi anticlericali alla stregua di episodi non giustificabili sotto il profilo morale, ma comunque ‘comprensibili’ sotto quello politico, e in ogni caso derivanti da presunte, antiche e gravi colpe della Chiesa di Spagna, intesa come centro di ‘potere’ reazionario e anti popolare.
Ad incoraggiare l’esecutivo repubblicano nel tentativo di eliminare non soltanto la Chiesa cattolica, ma anche la stessa cultura cristiana, vi furono molteplici ragioni derivanti – occorre dire –  anche dalla non facile situazione che in quel periodo stava effettivamente vivendo l’istituzione ecclesiastica iberica. Dalla metà circa del XIX secolo, e soprattutto a partire dalla fine del Primo Conflitto Mondiale, quest’ultima aveva infatti perso parte della sua antica forza catalizzatrice e propositiva, attestandosi fors’anche sotto la spinta della ‘modernità’ su posizioni prettamente difensive e controproducenti, mirate anche al mantenimento di taluni antichi privilegi concessi ad essa nel corso dei secoli dai sovrani castigliani. Si trattò di una politica discutibile, ma che, in ogni caso, non si tradusse mai in particolari o nuovi atteggiamenti ‘anti-popolari’ o specificatamente ‘reazionari’. Tra il XVIII e il XIX secolo non era stata infatti la Chiesa a mantenere in uno stato di diffusa povertà buona parte dei sudditi iberici, ma semmai lo Stato, cioè la corona, che si era dimostrata del tutto incapace di varare riforme economiche e sociali sensate quanto necessarie e di modernizzare un apparato amministrativo e burocratico ormai logoro e stantìo.
Detto questo – come si è accennato – la Chiesa spagnola commise effettivamente un grave errore, quello di ‘congelare’ il proprio impegno pastorale, dando quasi per scontato l’attaccamento del popolo iberico alla fede e a quelle tradizioni ad essa collegate che per tanto tempo, cioè dall’epoca della Reconquista medioevale anti-moresca, avevano garantito alla Spagna forza, prestigio e il titolo di ‘cattolicissima’. Questa sorta di superficiale immobilismo arrivò a mettere in allarme lo stesso Stato pontificio e non pochi illustri ed avveduti alti prelati spagnoli, timorosi di un distacco del cosiddetto paese reale dalle istituzioni ecclesiastiche. Come ad esempio ebbe modo di sottolineare nella prima metà degli anni Trenta, in una sua missiva ai vescovi, il cardinale Isidro Goma y Tomas (1937-1940). “Il popolo spagnolo – scrisse questi – è sì profondamente religioso, ma ormai più per sentimenti atavici che per autentica convinzione proveniente da una fede matura e viva”. Parere condiviso anche dal gesuita Francisco Peirò che, nel 1931, lamentava che: “soltanto il 5% della popolazione della Nuova Castiglia era ormai solito santificare il precetto pasquale”. Considerazioni oggettive, ma, ovviamente, non certo sufficienti a sostenere un imminente ed ineluttabile ‘decristianizzazione’ del popolo spagnolo e, tanto meno, sufficienti a giustificare la soppressione della Chiesa – intesa come istituzione sostanzialmente inutile – da parte dei governi della Seconda Repubblica, al fine di trasformare il Paese in una congregazione atea: condizione ritenuta indispensabile per imboccare la via della modernità. Tentativo che, per la cronaca, aveva avuto un precedente storico ben prima dei fatti che narreremo in questo breve saggio, con l’espulsione dei gesuiti, avvenuta nel 1767, e con lo scoppio di diversi moti anti-cattolici che in una fase successiva, cioè nell’Ottocento, vennero fomentati e cavalcati da congregazioni massoniche e da circoli post illuministi e giacobini fortemente avversi alla monarchia – intesa non a torto come un’istituzione arretrata ed illiberale – ma anche alla Chiesa. Nel loro fervore, non pochi intellettuali laici giunsero a considerare (sbagliando) la corona e la Chiesa quasi alla stregua di un unico soggetto, una sorta di mostro bifronte dell’arretratezza da abbattere con qualsiasi mezzo in nome dell’equità sociale e del progresso. Ricordiamo che nel corso del XIX secolo, questo vento di rivolta portò all’assassinio di 371 religiosi (anche se i primi veri martirii del secolo si ebbero nel 1904, a Valencia, dove nel corso di una ricorrenza religiosa due giovani vennero linciati da un gruppo di anticlericali) .
Per cercare di fare uscire la Chiesa dal guado, all’inizio degli anni Trenta, cioè in concomitanza con la caduta della monarchia, il cardinale Gomà ed altri vescovi incominciarono a lavorare per pianificare una nuova, rapida e concreta rievangelizzazione della Spagna attraverso una più avveduta politica di riavvicinamento al popolo e alle classi borghesi attratte dai miti massonici e post giacobini: progetto che, in virtù della sua ‘pericolosità’, spinse il primo governo della Seconda Repubblica succeduto alla corona, a stroncare sul nascere una possibile e positiva ‘riforma’ della Chiesa, eliminando il problema alla radice, cioè distruggendo quest’ultima e trasformando la Spagna non in uno Stato ‘laico’ inteso in senso moderno (come per molti decenni, diversi studiosi italiani, perfino cattolici, hanno erroneamente sostenuto), bensì totalmente e violentemente ‘ateo’. E su questo punto ormai i più illustri storici contemporanei convengono quasi all’unisono.
Come riporta Vittorio Messori (si veda l’opera Martiri in Spagna, tratto da Pensare la storia. Una lettura cattolica dell’avventura umana, Edizioni Paoline, Milano 1992), “l’obiettivo delle forze repubblicane fu senz’altro quello di far scomparire la Chiesa in sé”. Tesi avvalorata anche da un attento ricercatore, non certo filo-clericale come Hugh Thomas, autore, tra l’altro, di un poderoso saggio su la Guerra Civile spagnola. “Mai, nella storia d’Europa e forse in quella del mondo – scrive Thomas -  si vide un odio così accanito per la religione e i suoi uomini”. Parere condiviso da testimoni del tempo, anch’essi antifranchisti, come Salvador de Madariaga (che nel 1939, dopo la sconfitta repubblicana, andrà in esilio): “Nessuno che abbia insieme buona fede e buona informazione può negare gli orrori di quella persecuzione. Per anni, bastò il solo fatto di essere cattolico per meritare la pena di morte, inflitta spesso nei modi più atroci”.
E’ interessante notare che il progetto di sradicamento della Chiesa cattolica architettato e sostenuto in primo luogo dai partiti socialcomunisti, dal sindacato anarchico e, come si è detto, dalle logge repubblicano-massoniche iberiche, venne accolto favorevolmente anche da forze radicali e laiche cosiddette progressiste moderate: condivisione di intenti che non ha mai avuto eguali nella storia occidentale. Anche se, a dire la verità, proprio in questi ultimi anni, questa tentazione programmatica è riemersa – sebbene in una forma più ambigua – nei due Paesi europei a maggiore tradizione cattolica, cioè  l’Italia e appunto la Spagna, dove i rispettivi esecutivi di centrosinistra in carica al momento della stesura di questo libro, e cioè quello di Romano Prodi e di José Luis Rodríguez Zapatero, sembrano inclini a rispolverare attraverso la proposta o il varo di leggi dichiaratamente e gravemente lesive della tradizione culturale cattolica un antico sogno, quello di marginalizzare o eliminare un ostacolo, rappresentato dalla Chiesa, sulla strada di una modernizzazione dei costumi che trae tuttavia le sue origini da un equivoco di fondo, cioè dalla convinzione che il ‘laicismo’ sia il vero e unico garante della libertà intesa come valore immanente. ([2])
Giustificazione ideologica a dire il vero abbastanza opinabile che si rifà, in maniera grossolana e superficiale, agli assunti dotti, ma comunque discutibili, di un panteista deista come l’irlandese John Toland (1670 – 1722), a quelli di un seppur grande illuminista come Voltaire (1694 –1778), di un empirista come John Locke (1632-1704), o a quelli decisamente meno profondi e velleitari di un materialista storico come Karl Marx (1818 – 1883): pensatori che di fatto, in nome di una presunta libertà, paradossalmente negavano all’uomo il diritto e quindi la libertà di credere. Il tutto, dimenticando che l’esaltazione o la concretizzazione del paradigma laicista, non ha mai portato né all’eliminazione del senso dell’angoscia esistenziale che travaglia da sempre l’umana specie, né ad una radicale risoluzione dei problemi inerenti la convivenza civile all’interno di una comunità o di un soggetto statuale. Come dimostra, nella pratica, la stessa storia, nel corso della quale la sperimentazione o l’applicazione da parte di taluni Stati di regimi parlamentari laicisti (come ad esempio quello messicano) ha sortito effetti assai deludenti se non fallimentari, proprio riguardo la tutela dei diritti inalienabili dell’uomo. Non parliamo, ovviamente, dei regimi marxisti o postmarxisti dove il concetto di laicismo è stato sostituito, anzi soverchiato, da quello dell’ateismo di stato tradottosi in una ‘nuova’ religione seppur pagana, materialista, modernista e storicistica.

Fonte: http://www.storiaverita.org/?p=1258

venerdì 22 giugno 2012

Corea del Nord, più di 200mila persone condannate a morire nei gulag

 
Secondo la testimonianza di Jo Chung-Hee, ex membro del Partito, convertito al cristianesimo, nei 6 campi di lavoro sparsi per il Paese lavorano leader religiosi (per la maggior parte cristiani) e detenuti politici. Nel 2008 i detenuti erano almeno 900mila, ma la carestia li ha decimati. 

Seoul (AsiaNews) - Almeno 200mila persone sono rinchiuse nei campi di lavoro del regime della Corea del Nord. Di questi, circa il 20 % è di fede cristiana e vive nei campi da più di un decennio. Inoltre, molti dei detenuti non hanno alcuna speranza di uscire vivi da questa situazione, dato che secondo l'ideologia coreana un criminale rimane tale "per almeno 3 generazioni". È quanto emerge dalla testimonianza di Jo Chung-Hee, ex membro del Partito comunista coreano fuggito in Occidente e convertito al cristianesimo.

Secondo i dati in suo possesso, nel Paese sono in attività 6 campi di lavoro. Di questi il più temibile è il Campo 14, conosciuto come Distretto di controllo totale: da questo posto, dove vivono come schiavi almeno 50mila prigionieri, non si può uscire vivi.

Esiste poi il Campo 22, di un'estensione pari a quella di Los Angeles, dove si praticano esperimenti sui prigionieri. Anche qui, i detenuti sono circa 50mila. Infine c'è il Campo 25, gestito dalla polizia segreta, dove sono imprigionati leader religiosi e presunte spie occidentali.

Sono pochissimi, secondo Jo, i nordcoreani che sono sopravvissuti a questi campi. La media delle sentenze imposte ai prigionieri è pari a 15 anni, ma il carico di lavoro e le torture contro i detenuti abbassano la media dell'aspettativa di vita a 7 anni. Nei Campi a volte vengono rinchiuse intere famiglie, che di fatto il regime usa come schiavi per la produzione industriale pesante e per l'estrazione di carbone.

Dopo la Guerra coreana (1950-1953), Kim Il-sung - primo presidente e "padre della patria" nordcoreana - ha deciso l'apertura dei campi di lavoro per tenere sotto controllo, sfruttandoli dal punto di vista lavorativo, i soldati del Sud arrestati nel corso del conflitto. Nel giro di 5 anni, però, i Campi hanno iniziato a riempirsi di dissidenti politici e contestatori: i più colpiti sono stati i leader religiosi e i fedeli, soprattutto cristiani, che si opponevano al regime.

Secondo alcuni dati pubblicati nel 2008, nei Campi erano imprigionate circa 900mila persone. Il calo drastico del numero deriva dal fatto che la carestia del 2009 ha decimato la popolazione carceraria, del tutto ignorata dal punto di vista umanitario dal regime comunista.

di Joseph Yun Li-sun
Fonte: La Perfetta Letizia

martedì 19 giugno 2012

PIZZA MARGHERITA

A cena in pizzeria, un amico ha scelto la pizza margherita. Quando la pizza è arrivata al nostro tavolo, ha chiesto perchè si chiamasse proprio così. Gli ho spiegato che questa ricetta è in onore della Regina Margherita, quando il grande pizzaiolo Raffaele Esposito, in occasione di una visita a Napoli della Regina d' Italia Margherita, moglie di Re Umberto 1,  ideò questa pizza. Il pizzaiolo  Raffaele, pensò ad una ricetta che celebrasse l' Unità d' Italia sotto i Savoia. Per questo volle richiamare attraverso i colori dei semplici ingredienti , il pomodoro , mozzarella e basilico, la bandiera tricolore. La Regina e non solo lei, apprezzò talmente la pizza che da quel momento la ricetta assunse il suo nome, e oggi è uno dei prodotti alimentari
Italiani , più conosciuto al mondo .

giovedì 7 giugno 2012

Pisa conferenza " no194 "

foto: tavolo della presidenza
sotto: foto Sig: David Lisi

                                                  Comitato  No194
                                           Pisa,  Lugnano Vicopisano, 2 giugno 2012 ore 17.00 Presso il Ristorante da Antonio, sala 1° piano.
E' stata organizzata una conferenza  dalla segreteria di Pisa, con la collaborazione del Sig. Vico Benedetto. dal titolo :
                         “Fermiamo la soppressione legalizzata dei concepiti”
Si è svolta  a Pisa in localita' Vicopisano, la conferenza nazionale No 194 presieduto dal Cavalier Mauro Mazzoni,vice presidente nazionale, che ha dato vita ad una riunione sul tema dell'aborto al quale hanno partecipato il Dott.Francesco Lanatà, il Dott. Fabrizio Lastei di Militia Christi, l'Avvocato Pietro Guerini, di Bergamo,  portavoce nazionale della no194,  Dott Giacomo Rocchi Magistrato della  Corte di Cassazione.
Viene fatto rispettare dal vice  presidente nazionale  No 194, un minuto di silenzio in suffragio delle vittime del terremoto occorso in Emilia questa settimana e per i concepiti mai nati.
Parla il Dott.  Lanatà Francesco, responsabile consultorio matrimoniale e di ostetricia e ginecologia della clinica Suor Addolorata di Pisa: parla della mentalità contraccettiva, pone come esempio classico che la donna che vuole abortire viene generalmente abbandonata a se stessa e dalle istituzioni e dalla famiglia, in primis il partner con cui ha concepito, responsabilità solo su di lei, si pone che se la mentalità fosse diversa se fossero possibili altri percorsi le scelte sarebbero diverse, il peso non sarebbe troppo grande, contesta la mentalità dominante per cui il feto viene soppresso in nome di un principio di autodeterminazione largamente accettato, ma in cui l'autodeterminazione si fonda sull'abbandono del soggetto più debole, la donna al proprio destino. Ricorda che l'aborto è sempre esistito, prima però non esisteva la mentalità contraccettiva, i figli erano considerati un dono di Dio, dopo la seconda guerra mondiale sopratutto a partire dagli anni settanta, cambia la mentalità, il pensiero di Malthus in riferimento al controllo delle nascite in relazione all'eccessiva crescita della popolazione all'inizio del secolo scorso, diventa dominante, al contempo si sgancia la procreazione dalla parte ludica del rapporto sessuale, nascono le politiche contraccettive.
Contesta le statistiche del Ministero della Sanità, sostenendo che se si sommano gli aborti, più la contraccezione d'emergenza sotto varie forme che definisce aborto sommerso più l'aborto clandestino tuttora esistente la casistica raffrontata con quella del 1978 non varia di molto. La Dott.sa Lorella Battini,ginecologa, presso l' ospedale Santa Chiara di Pisa,  presente in sala concorda e ricorda che il neoconcepito non è ritenuto una persona e propone di inserire il diritto alla vita per tutti, sottolinea come il nodo sia questo in quanto per chi non riconosce il diritto alla vita dei neoconcepiti  la l. 194/1978 abbia portato una riduzione del fenomeno abortivo. Successivamente ha preso la parola il Dott. Giacomo Rocchi, magistrato,  ricorda la situazione legislativa nei vari paesi, cita alcuni bioetici che sostengono legittima la soppressione anche dopo la nascita, in quanto sostengono l'eutanasia o l'assenza di cure per i bambini malformati; ricorda che manca un criterio la soglia che distingue la persona dalla non persona, insiste dicendo che la mentalità abortiva diseduca alla mentalità pro vita, ricorda che L.194, non parla mai del bambino salvo quando ribadisce l'assenza di diritti del padre del concepito, che l'interruzione volontaria di gravidanza  va considerato un diritto potestativo della donna, che le stesse ricerche prenatali sono finalizzate alla ricerca di difetti nel feto. Ribadisce che l'attuale legge ha come punto fermo quello di puntellare l'autodeterminazione delle donne indirizzandole però in una direzione sola, invita  a spostare la mentalità a favore del concepito con tutte le conseguenze in politiche pro famiglia che deve comportare. Interviene quindi il Dott. Fabrizio Lastei di Militia Christi ricorda come le attuali leggi  invitino a compiere atti, quelli abortivi, che lasciano tracce su chi li compie, le donne, contesta la mentalità antivita, ribadisce il valore procreativo dell'atto sessuale, che è necessario dare diritti anche al concepito. Prende la parola l'Avvocato Pietro Guerini, portavoce nazionale no194, che ripercorre la storia del comitato no 194, contesta la chiusura dei media nei loro confronti, anche se il movimento continua ad acquisire iscritti, ribadisce la mancanza di tutela del concepito, contesta il diritto di vita e di morte della madre sul concepito, ritenendolo persona a se stante, ricorda le varie posizioni del mondo pro vita sulla 194 che sono almeno cinque. Sottolineando come l' antiabortismo non possa che essere abrogazionista e come la via referendaria sia l' unica attraverso cui l' abrogazione della 194 possa trovare attuazione.
Dal pubblico interviene l'Avvocato Fusi, che la battaglia contro l'aborto è propria anche dei laici pone la questione della fine dei valori occidentali rivendica il problema dell'identità.Il vicepresidente nazionale, Cav. Mauro Mazzoni, ha invitato al tavolo della presidenza il Sig.David Lisi, per far leggere un articolo da lui scritto sul quotidiano "Il tirreno" venerdi 18 Maggio 2012, dal titolo"io cattolico l' aborto non è mai inevitabile".era presente anche il Prof. Francesco Dal Pozzo,vicepresidente nazionale di centro.  Era presente  il Geom. Luigi Cartei,  Presidente di Toscana Granducale. Al termine dell'incontro è seguita con i numerosi partecipanti cena conviviale.
Dottor Thomas Aveni Tramazza