lunedì 26 novembre 2012

Nella crisi generale c'è un settore in crescita: le rimesse dei migranti

di REDAZIONE
C’e’ un settore dell’economia mondiale che non conosce la crisi: e’ quello delle rimesse dei migranti che quest’anno, secondo un rapporto della Banca Mondiale, dovrebbero superare le stime, soprattutto per quel che riguarda i paesi in via di sviluppo. Su un totale di rimesse che quest’anno dovrebbero toccare i 534 miliardi di dollari, le economie emergenti assorbiranno un flusso pari a 406 miliardi, con un incremento del 6,5 per cento rispetto all’anno precedente. Per il 2013 la crescita prevista per questi paesi e’ del 7,9 per cento, quindi del 10,1 per cento nel 2014 e del 10,7 per cento nel 2015, quando i Pvs dovrebbero assorbire 534 miliardi di dollari su un totale di 685 miliardi.
Tuttavia, nonostante la crescita dei flussi di rimesse verso i paesi in via di sviluppo, ci sono paesi piu’ colpiti di altri dalla crisi economica globale, soprattutto in Europa, in Asia centrale e nell’Africa sub-sahariana mentre il Sud est Asiatico, il Medio Oriente e il Nord Africa potrebbero registrare flussi migliori di quanto stimato in precedenza. In termini economici i principali destinatari delle rimesse ufficialmente registrate per il 2012 sono India (70 miliardi), Cina (66 miliardi), Filippine e Messico (24 miliardi ciascuno), e Nigeria (21 miliardi). Altri destinatari di flussi consistenti sono Egitto, Pakistan, Bangladesh, Vietnam, e Libano.
Diversa la situazione se si considera il peso delle rimesse sul Pil: in questo senso la percentuale piu’ alta di incidenza sulle rimesse nel 2011 si e’ registrata in Tagikistan (47 per cento), Liberia (31 per cento), Kirghizistan (29 per cento),
Lesotho (27 per cento), Moldova (23 per cento), Nepal (22 per cento), e Samoa (21 per cento).
“Anche se i lavoratori migranti, in larga misura, risentono l’influenza negativa della crescita lenta dell’economia mondiale, i volumi delle rimesse hanno resistito fornendo un’ancora di salvezza fondamentale non solo per le famiglie povere, ma una fonte costante e affidabile di valuta estera in molti paesi beneficiari”, ha detto Hans Timmer, direttore del Dipartimento per le prospettive allo sviluppo della Banca Mondiale. La divergenza di flusso si riscontra soprattutto fra quelle regioni e quei paesi con un gran numero di migranti nei paesi esportatori di petrolio: se questi ultimi continuano a registrare una forte crescita dei flussi di rimesse diverso e’ l’andamento rispetto a quei paesi che hanno in gran parte lavoratori migranti concentrati nelle economie avanzate, in particolare in Europa occidentale.


Fonte: http://www.lindipendenza.com/nella-crisi-generale-ce-un-settore-in-crescita-le-rimesse-dei-migranti/

giovedì 22 novembre 2012

STOP EQUITALIA TOSCANA

"L'ATDC (Associazione Toscana a Difesa dei Consumatori), il cui sito è www.toscanaconsumatori.it, rende noto che da oggi è attiva una sezione apposita, volta a contrastare l'iniziativa di Equitalia Spa Agenzia di Lucca, di inviare alle fami...
glie lucchesi - peraltro già soffocate dalla crisi economica in atto - le migliaia di cartelle e avvisi di pagamento per debiti molto vecchi e risalenti anche agli anni '90 , che sono con tutta evidenza orami PRESCRITTI.

Riteniamo che questa iniziativa da parte di Equitalia spa sia volta a recuperare debiti orami ampiamente prescritti e a cercare pagamenti non dovuti da parte dei cittadini che possono aver perso vecchie ricevute di pagamenti già effettuati nel passato.

l'ATDC ha creato pertanto una Pagina Facebook intitolata STOP EQUITALIA TOSCANA e una email apposita (stopequitalia@yahoo.it), presso cui contattare il nostro Staff, per verificare se vi sono i margini di impugnazione davanti all'Autorità Giudiziaria, delle cartelle di pagamento e/o degli estratti di ruolo, per DEBITI PRESCRITTI.

L'ATDC fa sapere che la consulenza sarà gratuita, e sarà effettuata dai professionisti dell'Associaizone stessa, che hanno già patrocinato cause contro Equitalia Spa relative alla dichiarazione della prescrizione delle cartelle di pagamento.
In caso di parere positivo, il cittadino potrà così eventualemnte rivolgersi all'Autorità Giudizairia competente a seconda della natura del tributo (Commisisone Tributaria, Giudice di Pace o Tribunale del Lavoro), per far annullare la cartella o far dichirare prescritto il ruolo."


Con pregheria di pubblicazione

STOP EQUITALIA TOSCANA

(Per eventuale contatto telefonico 349-1337526)
Visualizza altro

sabato 17 novembre 2012

Alla Camera bruciano la contabilità. A noi Equitalia chiede i soldi di 20 anni fa



Alla Camera bruciano la contabilità. A noi Equitalia chiede soldi di 20 anni fa


di CLAUDIO ROMITI
Leggo su L’Indipendenza che per consuetudine italiota i capigruppo della Camera, oltre ad avere piena autonomia nel modo di spendere i ricchi contributi estorti a Pantalone, una volta concluso il loro mandato gettano nel cassonetto dei rifiuti l’intera contabilità, peraltro basata normalmente su una rendicontazione a dir poco ridicola. Ma una pari opportunità non è affatto concessa ai comuni mortali, soprattutto se lavoratori indipendenti, ai quali è fatto obbligo di trasformarsi per anni e anni in una sorta di archivi ambulanti, con la prospettiva ben poco allettante di vedersi recapitare tra capo e collo una qualche vessatoria contestazione da parte della famelica Equitalia. Contestazione spesso basata su errori formali, del tipo “la virgola è spostata troppo a sinistra di 0,01 millimetri”.
A tale proposito, proprio alcuni giorni orsono mio fratello, con il quale una ventina di anni addietro gestivo una impresa familiare, mi ha telefonato molto allarmato a causa di una perentoria richiesta di danaro -circa 300 euro- per un presunto ritardato pagamento dell’Irpef risalente, udite udite, addirittura al 1993, ossia prima ancora che Berlusconi scendesse in campo. Ma per ammantare di una qualche parvenza di legalità tale pretesa, la ben poco popolare struttura pubblica di esazione ha fatto riferimento ad una precedente notifica, peraltro datata 2001; ossia ben 11 anni orsono. Tant’è che, onde evitare l’esborso di una sanzione che all’inizio della fiera era di qualche spicciolo, si invita il malcapitato contribuente a presentare in uno dei tanti sperduti uffici della sterminata amministrazione fiscale le eventuali ricevute di pagamento.
Ora, al di là di questa ennesima storia di ordinaria follia burocratica, la vicenda segnala ancora una volta alcune insopportabili caratteristiche di un sistema destinato a trascinarci tutti nel baratro del fallimento. In primis, per chiunque abbia gestito in proprio una qualche attività privata, pure se cessata da parecchi lustri, resta in forse la certezza dei redditi conseguiti a suo tempo, semprechè non si abbia addirittura chiuso qualche annualità in perdita. Sotto questo profilo nessun antico contribuente chiamato all’autotassazione può mai dormire sonni tranquilli: la macchina infermale di Equitalia potrebbe in qualsiasi momento rispolverare una antica mancanza, vera o presunta, condannando il “reo” a sborsare somme senza alcun limite ragionevole, chiamandolo in alternativa ad esibire documenti risalenti alla Guerra del 15/18. E questa sorta di incertezza retrattiva della sanzione, lo capirebbe pure il keynesiano più incallito, rappresenta un formidabile disincentivo ad intraprendere una qualsiasi forma di attività imprenditoriale di mercato; soprattutto per chi ha già avuto modo di saggiare i gironi infernali della prassi fiscale di questo disgraziatissimo Paese.
In secondo luogo, tutto ciò dimostra -se ce ne fosse ancora bisogno- che quella specie di mostro che chiamiamo Stato e le sue leve di comando politico-burocratiche non si fanno più alcuno scrupolo nel raschiare il fondo di un barile oramai ridotto ad un colabrodo. Pur di raccattare il maggior numero di risorse, onde alimentare una macchina pubblica impazzita, i paladini dell’equità burocratica -quella che ti manda per stracci, tanto per intenderci- si attaccano a qualunque errore formale di antica memoria, vero od inventato che sia. L’importante è rapinare ciò che resta nelle tasche di chi, magari per un errore di gioventù, ha osato anche per poco tempo far parte di quella sfortunata schiera di produttori privati, nati ahiloro nel posto sbagliato.  Un Paese che incontra un ex-imprenditore e con qualunque trucco gli estorce altri soldi su un reddito d’antan, è un Paese morto.  Non credo vi sia altro da aggiungere.

http://www.lindipendenza.com/

venerdì 16 novembre 2012

Grillo non è liberale, ma è meglio dei partiti storici

di FABIO CINTOLESI Da qualche tempo, anche su queste “pagine”, si fa un gran parlare di Beppe Grillo e del suo movimento. Dato che il sottoscritto fa parte di un meetup (così si chiamano i gruppi locali di questo movimento) oramai dal 2007, credo di essere persona che ha qualche titolo per scrivere della cosa; sicuramente più di molti che in quest’ultimo periodo hanno parlato di cose che conoscono appena o non conoscono affatto. Intanto, la prima considerazione: Beppe Grillo non è un liberale, tantomeno un liberista. La cosa positiva è che non ha la pretesa di esserlo o di raccontartelo. Chi scrive non è innamorato di Grillo; però gli riconosce il merito, unico tra i vari leader politici, di non aver partecipato al sacco di questo Paese. E scusate se è poco.
Il problema è che nell’attuale panorama politico, di liberali (a fatti e non a chiacchiere) non se ne vede manco l’ombra. Tanto per dire: l’unica battaglia liberale che si è vista in Italia negli ultimi cinque anni (la raccolta di firme per i referendum per l’abrogazione del finanziamento pubblico ai giornali e dell’ordine dei giornalisti) è stata fatta da uno che non ha la pretesa, come ho detto prima, di essere un liberale. Dove fossero su questo e su altri temi i libberali de noantri non è dato sapere, ahimè. Un altro merito (liberale?) che conferisco a Grillo è quello di aver attratto verso l’attività politica tantissimi giovani. Gente attiva, attenta e motivata. Ovviamente c’è la cima e quello meno dotato, ma niente a che vedere con i “giovani” dei partiti “tradizionali”; quasi sempre dei veri e propri cloni dei propri dirigenti. A questo va aggiunto l’uso preponderante della rete per la diffusione del proprio messaggio politico. Questi due aspetti porteranno, se già non lo stanno facendo, ad uno “svecchiamento” (non solo generazionale, ma anche culturale) della politica in Italia. Di questo, a mio avviso, beneficeranno anche i giovani liberali che militano nei vari partiti, spesso non persuasi della necessità di liberarsi di tutta una serie di vecchie cariatidi, per poter finalmente iniziare una fase nuova e, speriamo, autenticamente liberale. Anche perché, chi ti ha portato al disastro non può essere la stessa persona che risolverà i problemi.
Un altro merito che si può senza tema di smentita attribuire a Grillo è quello di non aver creato l’ennesimo partito “padronale”, ma un movimento “in franchising”. I partiti della seconda repubblica, si sono tutti distinti per l’essere diretta emanazione di leader che, oltre che esserne fondatori, sono dei veri e propri padroni assoluti dei rispettivi orticelli più o meno grandi. Il potere intermedio, dei vari ras locali, non deriva dall’appoggio della base, ma dal favore conferito dal “sovrano” al feudatario di turno. E questo meccanismo si ripete a scendere, dai “colonnelli” fino all’ultimo caporale. All’interno di queste strutture i singoli che fanno eccezione sono ben pochi, mentre l’unico partito “plurale”, come il PD, appare più come un aggregato di signorie feudali, che non una struttura con un grado di democrazia interna accettabile.
La struttura del movimento di Grillo, invece, condivide con gli altri partiti solo la genesi, cioè la risposta di un gruppo di persone ad un leader autoproclamato. Per il resto, siamo su un altro pianeta. Beppe Grillo offre un marchio (le famose cinque stelle) e richiede ai gruppi locali che si formano sul territorio di onorare le indicazioni programmatiche (la carta di Firenze) e le norme statutarie (il cosiddetto non-statuto).
Mi si obbietterà che Grillo è il padrone del marchio. Vero, ma essendone il legittimo proprietario esercita semplicemente il suo diritto di proprietà. La vera novità è che Grillo non interferisce mai o quasi negli affari interni dei vari meetup. Men che meno si preoccupa di avere uomini di propria fiducia in ogni singolo consiglio comunale o in ogni singola lista. Dico questo perché ho potuto verificarlo di persona. Persino nei casi di problemi interni (si sa, le liti accadono anche nelle migliori famiglie) gli interventi di Grillo e del suo staff sono fatti col contagocce e controvoglia. Anche di questo sono testimone oculare. Questo è, in ultima istanza, il vero motivo per cui Grillo può rinunciare ai finanziamenti pubblici per i partiti. Non già grazie all’uso della rete, o meglio, non solo grazie a quello; ma soprattutto, a mio avviso, perché questa struttura “in franchising” non costringe a mantenere costose burocrazie di partito dedite alla trasmissione del volere del centro verso la periferia del partito; praticamente a far da eco alle esternazioni quotidiane del capo.
La vittoria del Movimento Cinque Stelle alle ultime elezioni amministrative ha dimostrato, se ce ne fosse stato bisogno, che il finanziamento pubblico ai partiti non è necessario all’attività di una forza politica, ma anzi è l’ostacolo principale alla loro democratizzazione interna. Ma forse divago. Se questo assetto del movimento di Grillo verrà mantenuto o ci sarà un’involuzione verso una forma più simile ai partiti attuali non è dato sapere. Questa è l’attuale connotazione organizzativa di questo movimento. Può essere criticata quanto si vuole ma, per usare il motto di Einaudi, è sempre meglio conoscere per deliberare.
Per quanto riguarda il programma politico, e soprattutto la sua parte economica, la critica a Grillo di non avere un programma economico serio credo possa essere condivisibile. D’altronde non si sa chi possa dire di avercelo. Non ce l’hanno i partiti e men che meno il governo o la commissione europea. Forse la BCE, ma anche qui nutro qualche dubbio. Le dichiarazioni estemporanee di Grillo, tese a cercare consenso fiutando di giorno in giorno l’umore del pubblico, dicono tutto e il contrario di tutto. Un giorno nel blog viene ospitato Bruno Tinti, discutibile alfiere della lotta all’evasione fiscale; dopo pochi giorni lo stesso Grillo tuona contro chi dice che se tutti pagassero le tasse si risolverebbero i problemi, neanche si ispirasse al buon Leonardo Facco.
In questa ridda di dichiarazioni si fatica a ritrovare un tratto comune, se non la rabbia urlata (a ragione) contro la casta. Prima di cimentarsi in critiche o filippiche, credo sia meglio molto semplicemente leggersi il programma (che su questo giornale è stato analizzato da Stefano Magni).  E’ un po’ lungo e, per quello che mi concerne, raramente i programmi molto lunghi troveranno attuazione, anche parziale. Se qualcuno avrà la voglia di leggerlo, converrà con me che non è un programma liberale. La domanda che pongo al paziente lettore è questa: questo programma è meno liberale dei programmi (e soprattutto della prassi) degli altri partiti?
Al di là dei programmi, i segnali che colgo dall’interno del movimento spesso non sono univoci. Sono presenti le consuete ideosincrasie anticapitalistiche, ma non più di quanto siano presenti in tutta la società italiana. Ad esempio, poche settimane fa ho avuto occasione di dibattere con due consiglieri provinciali del PdL sui temi della tassazione: avrei avuto difficoltà a distinguerli da esponenti della sinistra comunista o ex comunista. Va detto comunque che non c’è una matrice ideologica cristallizzata al punto da impedire un dibattito sulle migliori soluzioni da adottare di volta in volta per problemi specifici. Prevale un certo livello di pragmatismo, almeno tra i componenti del movimento che ho avuto occasione di incontrare.
Accanto alla mobilitazione per l’acqua pubblica o contro il nucleare, molte liste locali (compresa quella di Sarego che ha eletto il primo sindaco grillino d’Italia) hanno messo nero su bianco la volontà di far gestire lo smaltimento dei rifiuti ad una società privata (e trovatemi qualcuno che ha proposto di privatizzare questo servizio). Non c’è una visione chiarissima su cosa sia “pubblico” e cosa sia “privato”. Si scambiano le società per azioni di proprietà comunale per società private, confondendo l’essere enti di diritto privato con l’assetto della proprietà. Si parla di acqua pubblica, ma non si sa se in mano dello Stato, dei comuni o di società ad azionariato diffuso. Ma anche questa confusione di termini e concetti è un problema che si riscontra un po’ in tutti gli strati della società civile e ci vorranno anni, se mai sarà possibile, per sanare i danni di un’informazione ed una cultura collettivista predominante che (in omaggio al dettato gramsciano) ha bombardato le menti di tanta, troppa gente con l’idea che il libero mercato sia il problema e l’intervento dello Stato la soluzione.
Data la forza che sta assumendo, sempre di più, questo movimento sarà oggetto di critiche, comprese quelle di chi pensa di fermarlo; come se il problema non fosse di fermare questa partitocrazia corrotta, predona ed ignorante che ci sta portando velocemente al collasso economico. Gente da associare alle patrie galere e non da invitare ai dibattiti pubblici. Perché chiedere ai nostri interlocutori della propria condotta morale riguardo all’uso dei nostri soldi non è atto illiberale ma di mero buonsenso. Credo siano da evitare le critiche a prescindere, tenendo presente che molte di queste persone è gente per bene e che è meglio interloquire con persone in buona fede, anche se con idee diverse dalle tue, piuttosto che dialogare con soggetti privi di qualsiasi scrupolo morale travestiti da illusori liberali. Le critiche immotivate, poi, accentuano quel senso di “accerchiamento” che talvolta può colpire questi movimenti, finendo per innescare meccanismi di autodifesa basati sull’autoriconoscimento dei propri membri come “puri”, contrapposti agli “impuri” al di fuori. Un settarismo deleterio ed esiziale da cui questo movimento per adesso è stato piuttosto immune.
Al di là del dialogo e del confronto, alcune battaglie del Movimento Cinque Stelle potrebbero essere tranquillamente sostenute da ogni liberale: dall’abolizione del finanziamento pubblico ai giornali ed ai partiti, all’abolizione delle province, fino all’abolizione dell’ordine dei giornalisti ed all’abolizione del CIP6, cioè degli incentivi agli inceneritori (una battaglia meritoria che potrebbe benissimo accomunare chi vuole meno tasse e chi vuole tutelare l’ambiente e la nostra salute).
Insomma, luci ed ombre; affinità e divergenze…
Fonte: http://www.lindipendenza.com/meetup-grillo-politica/

mercoledì 14 novembre 2012

Libia, denuncia di Amnesty International "Stranieri sottoposti ad abusi e sfruttamento"

13.11.12
In un nuovo documento diffuso oggi, Amnesty International ha denunciato che in Libia i cittadini stranieri privi di documenti di soggiorno rischiano sfruttamento, detenzioni arbitrarie e a tempo indeterminato, pestaggi e, in alcuni casi, anche la tortura.  

Amnesty - Il documento, intitolato "Siamo stranieri, non abbiamo alcun diritto" e basato su una serie di visite effettuate da Amnesty International in Libia tra maggio e settembre, descrive la sofferenza di rifugiati, richiedenti asilo e migranti nel paese nordafricano. Durante i 42 anni di regime del colonnello Gheddafi, i cittadini stranieri - specialmente quelli provenienti dall'Africa subsahariana - avevano vissuto nell'incertezza di politiche mutevoli e nel timore di essere arrestati arbitrariamente, finire in carcere a tempo indeterminato e subire torture.

La loro situazione è peggiorata dopo il conflitto del 2011, nel clima generale di assenza di legalità in cui potenti milizie armate continuano ad agire al di fuori della legge. Le autorità non contrastano il razzismo e la xenofobia, alimentati ulteriormente dalla percezione, assai diffusa tra i libici, che il deposto governo abbia usato "mercenari africani" per stroncare la rivolta.

"È una vergogna che le violazioni dei diritti umani dell'epoca di Gheddafi ai danni dei cittadini stranieri, specialmente quelli di origine subsahariana, non solo siano proseguite ma siano persino peggiorate. Le autorità libiche devono riconoscere quanto siano gravi e diffuse le azioni delle milizie e prendere misure per proteggere tutti i cittadini stranieri dalla violenza e dagli abusi, a prescindere dalla loro origine o dal loro status" - ha dichiarato Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.

"Abbiamo ripetutamente avvisato le autorità libiche della minaccia posta dalle milizie. Sollecitiamo nuovamente il governo a metterle sotto controllo e a chiamarle a rispondere delle loro azioni, ad adottare provvedimenti concreti contro il razzismo e la xenofobia e a tener conto di quanto la Libia dipenda dal lavoro dei migranti" - ha aggiunto Sahraoui.

In Libia, i migranti, i richiedenti asilo e i rifugiati rischiano di essere arrestati in casa, in strada, nei mercati o ai posti di blocco. Alcuni vengono fermati mentre cercano di imbarcarsi per l'Europa o di attraversare il deserto. A effettuare la maggior parte degli arresti non sono le forze di polizia, ma le milizie armate che a volte agiscono con violenza, sequestrando telefoni, soldi e altri beni di valore.

I cittadini stranieri sono inoltre esposti all'estorsione, allo sfruttamento e al lavoro forzato sia dentro che fuori i centri di detenzione. La loro sorte dipende in larga parte dalla fortuna e dalla buona volontà dei libici in cui s'imbattono.

I cittadini stranieri sono detenuti in varie strutture, compresi i centri ufficiali di "trattenimento" per i migranti irregolari così come siti improvvisati quali hangar o basi militari.

Tra maggio e settembre 2012, Amnesty International ha visitato nove centri di detenzione in tutta la Libia nei quali, nel periodo in questione, si trovavano circa 2700 cittadini stranieri, tra cui donne incinte, madri coi loro figli piccoli e minori non accompagnati, in cella insieme ad adulti sconosciuti, tutti detenuti per "reati d'immigrazione".

I detenuti hanno riferito ad Amnesty International di essere stati sottoposti a torture e altri maltrattamenti, compresi lunghi pestaggi con cavi di metallo, tubi di gomma, bastoni e cannelle dell'acqua. Molti hanno mostrato i segni delle ferite.

Nel settembre 2012, un gruppo di cittadini somali ha tentato invano di evadere dal centro di detenzione di Khoms. Sono stati catturati e picchiati duramente da uomini in borghese. Uno di loro, il 19enne Mohamed Abdallah Mohamed, ha raccontato di essere stato preso a calci, trascinato, colpito con pugni a un occhio e picchiato con bastoni e fucili. Ha riportato gravi ferite, tra cui una all'occhio sinistro.

Le denunce relative ai pestaggi contro le donne sono minori. Tuttavia, alcune detenute hanno riferito ad Amnesty International di essere state prese a pugni e schiaffi durante l'arresto. Altre hanno riferito di essere state torturate durante la detenzione. Come gli uomini, vengono punite per il loro "comportamento non collaborativo".

Una donna nigeriana detenuta nel centro di Tweisha, nella capitale Tripoli, ha denunciato che il 13 settembre è stata picchiata e torturata con la corrente elettrica. "Il mondo deve sapere cosa ci sta succedendo in Libia. Per i libici, non siamo nemmeno esseri umani. Non ho fatto nulla di male, sono solo venuta qui per lavorare. Ora sono chiusa qui dentro da mesi e non so cosa ne sarà di me. Non c'è nessuno qui che possa aiutarmi" - ha detto ad Amnesty International.

Nei centri di detenzione, privi di personale femminile, le donne sono inoltre esposte al rischio di violenza sessuale e violenza di genere.

Nonostante tutto questo, persone provenienti da paesi quali Ciad, Eritrea, Etiopia, Somalia e Sudan continuano ad attraversare i permeabili confini della Libia per fuggire dalla guerra e dalla persecuzione o per cercare migliori opportunità economiche. Insieme ai flussi misti di migranti, in Libia arrivano così persone che hanno diritto alla protezione internazionale.

Le autorità e le milizie libiche, tuttavia, non fanno distinzione tra migranti, richiedenti asilo e rifugiati. A causa del loro status di irregolari, le persone che necessitano di protezione internazionale rischiano come tutte le altre di essere arrestate, di rimanere in carcere a tempo indeterminato e di subire torture e altri maltrattamenti. I richiedenti asilo e i rifugiati restano in una sorta di limbo legale, poiché la Libia è priva di un sistema d'asilo funzionante e rifiuta di firmare un memorandum d'intesa con l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. La Libia, inoltre, non è stato parte della Convenzione Onu del 1951 sullo status di rifugiati né del Protocollo aggiuntivo del 1967 alla Convenzione.

In tal modo, per le persone detenute a tempo indeterminato per "reati d'immigrazione" in attesa del rimpatrio, non esiste modo per contestare la legittimità della detenzione e dell'espulsione forzata. In alcuni casi, sono persino obbligate a pagarsi da sole le spese di viaggio. Funzionari libici hanno comunicato ad Amnesty International che tra gennaio e settembre 2012 sono stati espulsi circa 4000 cittadini stranieri. Le salvaguardie essenziali contro il rimpatrio di persone a rischio di persecuzione sono inesistenti.

Nonostante questa situazione fosse ampiamente nota, l'Unione europea ha ripreso il dialogo con la Libia su questioni concernenti l'immigrazione e l'Italia, nell'aprile 2012, ha firmato con la Libia un accordo per "contrastare i flussi di migranti".

Il 19 ottobre, Amnesty International Italia ha consegnato al ministero dell'Interno oltre 28.000 firme per chiedere di accantonare quell'accordo.

martedì 13 novembre 2012

Carcere e legge stabilità: il grido d'allarme del personale penitenziario

Carcere e legge stabilita' : il grido d'allarme del personale penitenziario
di Mauro W. Giannini
A luglio 2012, la Corte dei diritti dell'uomo ha stabilito che lo Stato è responsabile per il suicidio di un detenuto che abbia mostrato problemi psicologici e tendenze suicide ove l'amministrazione non abbia messo in atto adeguate misure di prevenzione e controllo a seguito di segnalazione del servizio medico competente, violando conseguentemente l'articolo 2 (diritto alla vita) e l'articolo 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. E' una sentenza da ricordare oggi, nel momento in cui le scelte in materia di personale carcerario contenute nel Decreto Legge 95 del 6 luglio 2012, con la relativa legge di conversione ormai approvata, rischiano di peggiorare una situazione già preoccupante.
Proprio per denunciare tale situazione, i dirigenti penitenziari avevano scritto al ministro Paola Severino ed al Capo del Dap Luigi Tamburino per sottolineare che , produrrà un effetto devastante nel sistema penitenziario. l’ultima immissione in ruolo di direttori di istituto risale al 1997 e di direttori di Uepe risale al 1998 e che di contro, dal 2005 al 2012, sono stati immessi in ruolo n. 516 commissari di polizia penitenziaria, a cui è stato attribuito il compito di assicurare l’ordine e la sicurezza all’interno degli istituti, avvalendosi del corpo di polizia, composto, al 31 agosto 2012, da n. 37.127 poliziotti penitenziari. In conseguenza di queste scelte, ogni istituto ha in forza uno o addirittura più Commissari, ma neanche un Direttore titolare, per cui il potere di assumere decisioni importanti per la vita di tutto l’istituto e quindi di tutti i detenuti, oltre che degli altri operatori civili presenti (Educatori, Psicologi, Contabili, Amministrativi) viene demandato a professionalità che rappresentano e sono responsabili direttamente soltanto di uno dei compiti dell’istituzione.
I funzionari Giuridico-Pedagogici hanno invece appena predisposto una petizione per il Ministro della Giustizia per evidenziare, anche con dati numerici, la netta disparità che attualmente esiste nel sistema penitenziario tra controllo e trattamento. Per Paola Giannelli, Segretario Nazionale Società Italiana Psicologia Penitenziaria, si tratta di "aspetti entrambi necessari che, se fossero in equilibrio, potrebbero produrre: sicurezza per la comunità, riabilitazione per i detenuti. Viceversa, quando si parla dei problemi del carcere si riduce tutto a due punti: il sovraffollamento (problema drammaticamente reale) e la carenza del personale di Polizia Penitenziaria che non sembra essere così grave, o almeno, lo è molto meno rispetto a quella del personale del trattamento e di questa funzione che è in estinzione".
Nella lettera-petizione, i funzionari chiedono il rispetto "delle norme del nostro ordinamento che finalizzano il compito dell’Amministrazione Penitenziaria alla rieducazione del condannato attraverso un’azione tesa da un lato ad accertare “i bisogni di ciascun soggetto, connessi alle eventuali carenze fisico-psichiche, affettive, educative e sociali, che sono state di pregiudizio all’instaurazione di una normale vita di relazione” (art 27 DPR 230/00), dall’altro alla RESPONSABILIZZAZIONE DEL DETENUTO/CONDANNATO, sia rispetto alla condotta che lo ha portato a delinquere, sia rispetto all’assunzione di impegni e comportamenti utili alla “tenuta” sul piano sociale in vista del suo ritorno allo stato libero".
La lettera al ministro Severino chiede quindi "di realizzare la coraggiosa scelta di “educare” l’opinione pubblica, trovando il coraggio di affermare che “certezza della pena” corrisponde a qualcosa di ben più complesso che alla semplice equazione punizione=sicurezza. A testimonianza di questo parlano i fatti. In poco più di trenta anni si è, di fatto, consumata la spinta ideale che aveva prodotto una riforma penitenziaria fra le più avanzate d’Europa. La riforma è datata 1975 e l’immissione dei primi operatori cosiddetti “del trattamento” all’interno degli istituti penitenziari e nell’area penale esterna (educatori e assistenti sociali) è avvenuta nel 1979. Con grande fatica e indicibile spirito di adattamento questi operatori hanno lavorato all’abbattimento delle barriere fra carcere e città, producendo un proliferare di iniziative di civiltà, con il contributo di enti locali, associazioni di volontariato, singoli cittadini, e dei molti operatori amministrativi e poliziotti penitenziari che hanno saputo cogliere l’elemento di progresso ed interesse professionale in una concezione della pena che avesse caratteristiche non solo di umanità ma anche strumento di ricostruzione del patto sociale infranto con il reato. Il clima interno così modificatosi ha permesso fra l’altro la drastica riduzione di situazioni di conflitto e violenza fino a quel momento all’ordine del giorno, relegando ad un passato che appariva remoto le rivolte dei detenuti, i sequestri degli agenti, i fatti di sangue fra gruppi rivali. Un risultato notevole – pertanto – proprio in termini di ordine e sicurezza".
Nel corso degli ultimi anni, ricordano i fnzionari Giuridico-Pedagogici, si è assistito invece "ad un nuovo trend ascendente di episodi gravemente conflittuali, sempre drammatici e talvolta sanguinosi, fra i detenuti e fra detenuti e operatori. Il caso Cucchi è diventato emblematico per la crudezza delle immagini e la determinazione dei parenti, ma a nostro avviso la quantità e la qualità delle morti in carcere, il numero crescente di episodi di autolesionismo, la povertà e la disperazione della gran parte della popolazione detenuta, testimoniano di una deriva culturale, morale e sociale di cui il caso Cucchi è la punta dell’iceberg. Sentiamo il dovere - afferma la lettera - di mettere in dubbio l’opinione diffusa secondo la quale il “problema” carcere, di cui oggi si sente parlare più che in passato, sia generato principalmente dal sovraffollamento e dalla carenza di personale di polizia penitenziaria. Il sovraffollamento è un problema serio e reale, che non può che diventare tragico se la vita quotidiana scorre all’interno della cella per oltre venti ore al giorno, dove persone di etnie, religione e cultura diverse condividono uno spazio irrisorio, in cui il divario economico fra detenuti pesa come un macigno e rende i più diseredati ostaggio dei più fortunati, in una dimensione relazionale di forte dipendenza da una autorità vaga e contraddittoria, che pensa e fa troppo spesso il contrario di quello che afferma. In quanto alla carenza di personale di polizia, l’esperienza di altri paesi europei ci dimostra che il rapporto numerico agente/detenuto in Italia è fra i più alti e che forse il problema è piuttosto di tipo culturale ed organizzativo. Ad ulteriore riprova di ciò, si segnala che in l’Italia, di contro, il rapporto numerico personale addetto al trattamento/detenuto è fra i più bassi: ed è proprio quel personale che viene considerato da questo Governo in esubero."
Anche 104 Psicologi Penitenziari operanti in vari istituti di pena avevano scritto al Guardasigilli chiedendo un intervento, ma non vi sono stati ad ora esiti concreti. Giannelli evidenzia che l'apporto della figura dello psicologo "è divenuto ormai virtuale: in media 5 ore al mese!" e pertanto "I detenuti per i quali non è possibile fare un approfondimento psicologico restano in carcere, alimentando il sovraffollamento".


NB: I CONTENUTI DEL SITO POSSONO ESSERE PRELEVATI
CITANDO L'AUTORE E LINKANDO

http://www.osservatoriosullalegalita.org/
http://www.osservatoriosullalegalita.org/12/acom/11nov1/0909maucarcere.htm

sabato 10 novembre 2012

Italia, paese tutto sbagliato: 3 miliardi di "tassa sulle tasse" per le Pmi

11 - Novembre - 2012

Italia, paese tutto sbagliato: 3 miliardi di “tassa sulle tasse” per le Pmi



di GIANMARCO LUCCHI

Ma dove vogliamo andare come Italia? Siamo un Paese tutto sbagliato e tutto da rifare. Non c’è una cosa che vada per il verso normale, non dico giusto, ma semplicemente normale. Una bomba atomica servirebbe per distruggere il mostro che abbiamo creato. E forse non sarebbe neppure sufficiente.
Aggiorniamoci con l’ennesima chiccha del nostro sistema campiresco e burocratico. E aggiungiamoci l’ennesimo mattoncino per dirci che non abbiamo speranza. Le piccole e medie imprese italiane, per pagare le tasse, sono costrette a “sborsare” quasi 3 miliardi di euro all’anno. Lo denuncia la Cgia di Mestre. Si tratta dei cosiddetti oneri amministrativi che fanno da corollario al pagamento delle imposte e “pesano in maniera sempre piu’ drammatica – si rileva – sui bilanci delle realta’ imprenditoriali di piccola e piccolissima dimensione. Le principali scadenze fiscali, purtroppo, sono in costante aumento. Se nel 2002 erano pari a 100, nel 2006 sono salite a 127 e nel 2012 toccheranno quota 134. Negli ultimi 10 anni – nota la Cgia – l’incremento e’ stato del 34%”. Insomma, una bazzecola “gigantesca” in un momento di crisi economica drammatica come l’attuale.
I mesi piu’ “convulsi” sono quelli di inizio anno. A gennaio di quest’anno si sono addensate 14 scadenze di pagamento e a febbraio il record con 15. Quasi tutti i pagamenti sono concentrati verso la meta’ e verso la fine di ogni mese. “Tuttavia se ipotizziamo di spalmare queste scadenze su tutto l’arco dell’anno, e’ come se i piccoli e medi imprenditori – scrive la Cgia – versassero ogni due giorni e mezzo un’imposta od un contributo  previdenziale/assicurativo allo Stato”.
“Da questa ricognizione sulle scadenze - dice il segretario della Cgia di Mestre Giuseppe Bortolussi – si evince che il processo di semplificazione fiscale iniziato nei primi anni ’90 sta ora segnando il passo. Bisogna disboscare questa giungla fiscale per distogliere i piccoli imprenditori da una burocrazia e un numero di adempimenti che sono ormai eccessivi. Non dobbiamo dimenticare che i piu’ penalizzati da questa situazione cosi’ opprimente sono le micro imprese e i lavoratori autonomi che, a differenza delle aziende di maggiori dimensioni, non posseggono una struttura amministrativa in grado di sbrigare tutte queste incombenze”.
Semplificazione fiscale? Caro Bortolussi, se era iniziato, non se n’era accorto nessuno. L’Italia è solo capace di complicare anche le cose semplici.

Fonte: 
http://www.lindipendenza.com/




mercoledì 7 novembre 2012

Il Pd doppia il Pdl superato anche dal Grillo, mentre va alla sparizione l' Idv


Sondaggi

Secondo i risultati virtuali di Emg dal 2013 dovremmo avere la sinistra al governo guidata da Renzi il cui gradimento è d un punto inferiore a quello di Monti, ma superiore di 3 a quello di Bersani

di  Totalità

Il Pd 
doppia il Pdl superato anche dal Grillo, mentre va alla sparizione 
l’Idv
Il Pd sarebbe al primo posto con il  29,9% dei voti, quasi il doppio del Pdl sceso al 15,8% mentre il M5S   di Beppe Grillo toccherebbe il 18,2% e l’Italia dei valori perderebbe  l'1,2%, arrivando al 2,9%. E’ quanto emerge dal sondaggio sulle   intenzioni di voto alla Camera elaborato da Emg e diffuso ieri sera dal Mentana nel corso del TgLa7.
  Le rilevazioni mostrano inoltre “ancora in lieve ascesa la  Lega, che raggiungerebbe il 6,6% e Sel che avrebbe il 5,3%, mentre  l'Udc arriverebbe al 5,6%”. Leggera flessione per Fli stimata al 2,7%  e stessa percentuale per la Federazione della sinistra e La Destra, entrambi al 2,3%. Il Psi sarebbe all’1,3%; Fermare il Declino otterrebbe lo 0,7% e stabili resterebbero gli Ecologisti Verdi e Reti   civiche all’1,4%.
Da segnalare l’astensione record al 34%, con gli   indecisi all’11,9% e le schede bianche al 2,6%.
  Rispetto alla scorsa settimana, perde il 3% la fiducia in Mario Monti che arriverebbe al 47%. Quanto alla classifica della premiership, il sondaggio indica che scenderebbe al 15% la percentuale  degli italiani che voterebbe ancora il Professore. Poco dietro di lui ci sarebbero Matteo Renzi al 14%, seguito da Pier Luigi Bersani (stabile all’11%), Angelino Alfano (all’8%) e Beppe Grillo al 7%.
Parità per Silvio Berlusconi e Nichi Vendola, entrambi preferiti dal   6% degli italiani. Infine, Luca Cordero di Montezemolo e Roberto   Maroni sarebbero scelti ognuno dal 4% degli intervistati, Oscar   Giannino dal 3% e Pier Ferdinando Casini, Gianfranco Fini, Antonio Di Pietro e Emma Marcegaglia dal 2%.
L’8% non indica nessuno di questi   nomi e il 6% non esprime alcuna preferenza.

  

http://www.totalita.it/

venerdì 2 novembre 2012

PINO RAUTI

 

Il Gramsci di destra

L'ex segretario del Msi Pino Rauti è morto oggi a Roma intorno alle 9.30. Aveva 86 anni.

Strenuo oppositore della svolta di Fiuggi

di  Totalità

L'ex segretario del Msi Pino Rauti è morto oggi a Roma intorno alle
 9.30. Aveva 86 anni. Pino Rauti
Figura storica della destra italiana, segretario del MSI all'inizio degli anni '90 e strenuo oppositore della svolta finiana di Fiuggi, è scomparso questa mattina a Roma Pino Rauti, da molti definito il “Gramsci di destra”. Tra poco più di due settimane avrebbe compiuto 86 anni. Ancora ragazzino, a sedici anni, Rauti si arruola nella Repubblica sociale e alla fine del 1946, quasi 20enne, partecipa alla fondazione del Movimento Sociale Italiano, di cui diventerà segretario nel 1990. Nei primi anni Cinquanta contribuisce a dare nuovamente vita all'organizzazione neofascista che rispondeva alla sigla Far, Fasci di Azione Rivoluzionaria, con Giorgio Almirante e l’ideologo Julius Evola.

A seguito di due attentati a Roma, al ministero degli Esteri e all'ambasciata statunitense, nel maggio del '51 vengono condotti numerosi arresti tra i quadri del Far. Lo stesso Rauti finisce in manette, assieme a Fausto Gianfranceschi, Clemente Graziani, Franco Petronio, Franco Dragoni, Flaminio Capotondi e Julius Evola, considerato l'ispiratore del gruppo. Il processo si conclude nel novembre del '51: Graziani, Gianfranceschi e Dragoni vengono condannati a un anno e undici mesi. Altri dieci imputati a pene minori. Tutti gli altri vengono assolti, tra questi Rauti, Evola ed Erra.
Con la fine del processo, si conclude definitivamente l'esperienza dei Far. Nel 1954, dopo la vittoria dei dirigenti “in doppiopetto” e la nomina a segretario di Arturo Michelini, Rauti dà vita al centro studi Ordine Nuovo. Dopo appena due anni, Ordine Nuovo esce dal Movimento Sociale italiano. Arriverà ad avere dai 2.000 ai 3.000 iscritti.  Negli anni '60 e '70, il nome di questa organizzazione verrà utilizzato per rivendicare una serie di attentati, ai quali Rauti si dichiarerà sempre estraneo.

Con l'arrivo di Giorgio Almirante alla segreteria del Msi, Rauti rientra nel partito assieme a un gruppo di storici dirigenti. Il 14 dicembre 1987, al XV congresso del partito a Sorrento, raccoglie quasi la metà dei consensi per l'elezione a segretario, insieme alla corrente di Beppe Niccolai, ma viene battuto da Gianfranco Fini, sostenuto dal segretario uscente e padre nobile del partito Giorgio Almirante, ormai gravemente malato.

Nel 1990 Rauti arriva alla guida del MSI al congresso di Rimini, appoggiato dalla componente di Domenico Mennitti, e battendo Fini per la segreteria, ma non riesce ad arrestare l'emorragia di voti dovuta alla morte di Almirante. Dopo la sconfitta alle amministrative e alle regionali in Sicilia del 1991, il Comitato centrale del partito - con un blitz interno - lo destituisce riconsegnando la carica a Fini.

Europarlamentare dal 1994 fino al giugno 1999, Rauti si oppone alla svolta finiana di Fiuggi che decretò la trasformazione del principale partito della destra italiana in Alleanza Nazionale, uscendo sostanzialmente dall'alveo dei partiti anti-sistema tra i quali era stato protagonista nella Prima Repubblica. Dopo la svolta di Fiuggi, Rauti fonda insieme ai senatori Giorgio Pisanò e Cesare Biglia e al deputato Tommaso Staiti di Cuddia il Movimento Sociale Fiamma Tricolore, dopo che una sentenza del Tribunale Civile di Roma impedisce ai rautiani di appropriarsi di nome e simbolo storici del MSI-DN.

Suocero del sindaco di Roma Gianni Alemanno, Rauti, alla guida del MS-FT, è stato anche candidato alla carica di primo cittadino capitolino alle amministrative del 1997.

Con Rauti muore un intellettuale di razza, un grande animatore politico, promotore di una stagione di rinnovamento tanto dentro il partito, quanto nell’area della destra italiana. Fu il padre di mozioni congressuali come “Linea futura” (1977), “Spazio Nuovo” (1979 e 1982) e “Andare oltre” (1987), lanciò il quindicinale “Linea”, e organizzazioni parallele, dal Movimento giovani disoccupati, ai Gruppi Ricerca Ecologica, e sostenendo i Campo Hobbit fu riferimento delle nuove generazioni del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del partito.

Con Rauti la destra italiana perde il più grande interprete della destra vista con gli occhi e le ragioni fondative che furono di sinistra. “Gianfranco Fini a Fiuggi – disse dopo lo storico Congresso - non ha deviato di una virgola dalle sue idee di sempre. Fini ha semplicemente ammesso pubblicamente quello che noi abbiamo sempre sostenuto, e cioè che il 'fascismo di destra' non e' fascismo, e non lo e' mai stato”.

http://www.totalita.it/articolo.asp?articolo=1968&categoria=5&sezione=30&rubrica=