di STEFANO MAGNI
Serbia e Kosovo hanno raggiunto un accordo
sulla “normalizzazione” dei loro rapporti, con la benedizione
dell’Unione Europea. Se non si tratta di un riconoscimento
dell’indipendenza kosovara da parte della Serbia, poco ci manca. E
l’Unione Europea, che in questo decennio annovera ben pochi successi e
moltissime frustrazioni, non vedeva l’ora di definirlo un risultato
“storico”, che potrebbe porre fine a 10 anni di ostilità armata e 14 di
alta tensione.
L’accordo è stato firmato lo scorso 19 aprile dai premier delle due parti: Hashim Thaci per Pristina e Ivica Dacic per Belgrado. “I negoziati sono conclusi – ha commentato l’Alta Rappresentante europea
Catherine Ashton
– Il testo è stato sottoscritto da entrambi i primi ministri. Voglio
congratularmi con loro per la loro determinazione in questi mesi e per
il coraggio che hanno avuto. E’ molto importante che ora abbiamo quel
che consideriamo un passo avanti rispetto al passato e, per entrambi, un
passo avanti verso l’Europa”.
In base all’accordo il Kosovo viene, di fatto, diviso su linee etniche.
Le municipalità del Nord, a maggioranza serba, godranno di ampia
autonomia. Si formerà, all’interno del Paese autoproclamatosi
indipendente, una “Comunità di Municipalità” a maggioranza serba. Si
tratterà di una comunità aperta: anche altri comuni potranno chiedervi
l’adesione, previo referendum e loro accettazione da parte sia di
Pristina che di Belgrado. La Comunità sarà creata per legge
costituzionale (abrogabile solo con una maggioranza qualificata dei
2/3). Solo un referendum delle municipalità interessate potrà
scioglierla. La Comunità avrà sue competenze esclusive, quali: sviluppo
economico, istruzione, sanità, pianificazione urbana e rurale, più
competenze aggiuntive che dovessero essere delegate dalle autorità
centrali. La Comunità avrà un ruolo di rappresentanza presso le autorità
centrali e avrà un posto nel consiglio consultivo delle comunità. La
polizia rimarrà unita in un solo corpo per tutto il Kosovo. Ma nel
territorio della Comunità delle Municipalità, dovrà essere costituita e
comandata da agenti di etnia serba. Anche la magistratura sarà una sola e
opererà nel quadro giuridico del Kosovo, ma verrà costituita una Corte
d’Appello a parte (con sede a Mitrovica) a maggioranza serba per
giudicare i casi all’interno della Comunità. Un serbo che dovesse subire
una condanna discriminatoria da una corte albanese, dunque, avrebbe
sempre la possibilità di ricorrere in appello a Mitrovica, dove verrà
sempre giudicato in base al diritto kosovaro, ma da giudici
plausibilmente meno carichi di pregiudizi.
Entro il prossimo 26 aprile sarà stilato dalle due parti un
calendario di attuazione di questo primo accordo. Continueranno, invece,
le trattative per la suddivisione di energia e telecomunicazioni.
In base al patto firmato ieri, Belgrado e Pristina si impegnano
solennemente a non ostacolarsi l’una con l’altra nel processo di
integrazione europea.
Il principio che regge l’accordo è il federalismo.
Sulla carta, se il Kosovo fosse la Svizzera di oggi, funzionerebbe
perfettamente. La Svizzera ha già attraversato e superato la sua fase di
conflitto civile più di un secolo e mezzo fa. Il suo sistema, calato
nella realtà kosovara, dove i serbi del Nord (temendo l’annientamento)
sono ancora sul piede di guerra, l’accordo potrebbe saltare in men che
non si dica. Un punto critico è costituito dalla polizia comune, ma
etnicamente divisa. Inevitabilmente si arriverà a conflitti fra
ufficiali e agenti serbi e albanesi, se la struttura rimarrà la stessa.
Basta attendere che una delle due parti disattenda l’ordine dell’altra…
Anche la formula adottata per la magistratura è pericolosamente
instabile. Si verrebbero a creare conflitti fra due corpi di magistrati
etnicamente divisi, ma teoricamente uniti sotto lo stesso ordinamento.
Il primo giudice serbo che assolverà un serbo condannato da un
magistrato di primo grado albanese… o viceversa, potrebbe già creare la
precondizione di una guerra civile. Soprattutto se il caso sarà grave,
riguarderà una strage, la distruzione di un luogo-simbolo o, comunque,
scalderà l’opinione pubblica, il conflitto sarà inevitabile.
Già che abbiamo fatto l’esempio della Svizzera: uno
dei motivi per cui la Confederazione regge alla prova dei secoli è il
suo carattere multinazionale, ma non etnicista. Nessuno parla di
“giustizia per i tedeschi” o di “polizia per gli italiani”: c’è
semplicemente una magistratura che giudica in base a norme condivise e
una polizia che mantiene l’ordine, senza badare alla lingua parlata
dagli agenti. Eppure, in Svizzera, italiani, tedeschi e francesi vivono
sotto lo stesso tetto, senza combattersi da un pezzo. Il Kosovo, al
contrario, è stato “diviso” in base alle etnie. E questa è sempre stata
garanzia di conflitto (vedi Bosnia, vedi Croazia, vedi la stessa ex
Jugoslavia, costituita da repubbliche etniche). Di fatto, quando la Nato
se ne andrà definitivamente, rimarrà ben poco per tenere a freno le
tendenze centrifughe delle due etnie.
Il principio seguito dall’Unione Europea, sulla carta, è corretto:
si prende atto che un Paese è diviso e si provvede a ritagliare spazi
di autonomia per la minoranza. Ma con questo negoziato ha dimostrato
ancora una volta di non saper andare fino in fondo: avrebbe potuto
creare un’enclave serba e chiedere alla popolazione locale se avesse
preferito dichiarare l’indipendenza o restare nel Kosovo. Un referendum è
già stato fatto (e ignorato) e risultava una vittoria degli
indipendentisti quasi al 100%.
Tuttavia, che a Bruxelles se ne rendano conto o meno,
il punto più importante dell’accordo è l’ultimo: l’impegno di Belgrado e
Pristina a non ostacolarsi a vicenda nel loro percorso di integrazione
nell’Ue. Se i precedenti hanno un senso, in base a questo principio,
Madrid non dovrà più ostacolare l’eventuale domanda di adesione della
Catalogna all’Ue. Né l’Inghilterra lo potrà fare con la Scozia. I veneti
e i lombardi, in Italia, prendano nota.
Fonte:
lindipendenza.com/laccordo-fra-serbia-e-kosovo-apre-la-strada-ue-alla-catalogna/